Simbolo di femminilità, forza e indipendenza: FRIDA - RECENSIONE film del 2002 diretto da Julie Taymor




Ehilà lettore! Finalmente, dopo molte (ma non volute) procrastinazioni, sono riuscita a vedere “Frida”, adattamento cinematografico del 2002, tratto dal libro “ Frida: A Biography of Frida Kahlo” di Hayden Herrera. Il film diretto da Julie Taymor si snoda lungo la vita della pittrice messicana, affrontandone i momenti cardine che hanno segnato la sua visione del mondo, della sua personalità, e dei suoi ideali politici e artistici. Non sorprende dunque che la pellicola si soffermi, oltre che sui problemi di salute, di cui Frida soffrì a causa di un incidente d’auto subito all’età di diciotto anni, in particolare sulla relazione profonda e travagliata tra lei e il famoso pittore Diego Rivera.

Non posso parlare come un’esperta d’arte, e quindi né tanto meno potrei pavoneggiarmi come grande intenditrice dei lavori di Frida Kahlo. Ciononostante vi dirò che ho amato molto questo film, perché riesce ad incastrare vita e arte facendo capire quanto siano inscindibili. L’ho amato per la colonna sonora che, così tradizionale, accompagnava il susseguirsi di scene intense quanto leggere, e l’ho amato perché per quanto venga romanzata la vita di questa famosa donna, Selma Hayek ha scavato nel profondo riuscendo a portare sulla scena la propria Frida: vera ed emozionante. 
Sebbene alcune figure importanti della vita della pittrice siano rimaste implicite, la scelta dei momenti di cui trattare è stata accurata! I punti cardine che determinano la grande personalità di questa donna sono evidenti, e chiari. La narrazione è serrata, sebbene con brevi salti temporali ci spostiamo avanti e indietro lungo la sua vita, vissuta tra dolori fisici e dolori del cuore. Sentimenti e sensazioni che lei fa convergere nei suoi quadri crudi, d’impatto, portavoce dei momenti più sofferti e intensi della sua vita.  Un’arte che nel film è resa chiara sin da subito, nel momento in cui a causa del suo immobilismo iniziò a dipingere sé stessa sul proprio letto. Meraviglioso è infatti il ritratto che mostra per la prima volta al pittore Diego Rivera, Autoritratto con vestito di velluto - (1926) - collezione privata. È uno dei suoi lavori che, personalmente, mi ha lasciato a bocca aperta, tanto quanto il dipinto intitolato Ciò che ho visto nell'acqua e ciò che l'acqua mi ha dato - (1938), che ricorda molto il tratto di Salvador Dalì. Ma Frida stessa ribadisce più volte di non dipingere sogni, ma la sua vita, allontanandosi quindi dal surrealismo.
L’amore così doloroso ma profondo tra lei e Rivera rappresenta la cornice perfetta che talvolta prorompe nelle vicende, determinando i comportamenti e il crescere della figura di Frida, perché lei stessa è consapevole di come, nonostante l’infedeltà e i torti da lui subiti, il famoso pittore messicano sia stato una fonte di ispirazione tanto artistica quanto letteraria. È proprio questa drammaticità, certamente amplificata nel film, che mi ha catturato tanto da farmi avvertire la stessa angoscia, e poi slancio di vita di una donna che anche nei momenti più difficoltosi dimostra una grande forza di volontà. Penso quindi che al di là delle imprecisioni, derivanti anche da un’ulteriore passaggio e trasposizione dei fatti: dal libro al film, che diviene per noi spettatori una piccola finestra sul vasto mondo di Frida Kahlo, nello stesso modo in cui l’arte fu la sua finestra sul mondo.
Nel film tutte queste sensazioni sono amplificate, immergendoci ancor più nella realtà della pittrice, donna diventata nel tempo un modello di femminilità, indipendenza, libertà e forza per antonomasia, nota anche a chi non ha mai visto un suo quadro.

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